Musica

Giovanni Caruso

Come offrire ai bambini la comprensione del senso poetico che serve alla musica utilizzando una scrittura predisposta al rilievo dell'azione drammatica.

Può capitare, quando si vuole proporre ad un pubblico di bambini la rappresentazione di una fiaba musicale contemporanea, di tralasciare l'analisi delle ragioni legate alla comprensione del senso suggerito dal testo. Non vogliamo di certo riferirci ai modelli voce narrante-orchestra, offerti dal repertorio classico di autori come Poulanc, Debussy, Prokofev e presentati con ogni tipo di pregevole variante linguistico espressiva. (d'obbligo citare a riguardo le funambolerie estrose dell'ugola di Paolo Poli, esempio di raffinata ed indiscussa perizia esecutiva).

La struttura della fiaba rappresenta da sempre uno stimolo fondamentale per la conoscenza e la crescita del bambino. Abbinare a questa forma storica di sollecitazione emotiva il linguaggio della musica garantisce l'incremento del livello d'attenzione dei piccoli ascoltatori, influisce a dilatare ulteriormente il senso educativo e formativo della medesima. Acquista massima importanza allora presentare ai bambini il progetto di una musica colta che non sia contaminata da retaggi televisivi o dal musical.

Ci piace pensare alla costruzione di un prodotto d'arte che riesca ad utilizzare strategie interne alle strutture del linguaggio letterario. Nella modernità uniformante che ci attanaglia ed inaridisce, crediamo fortemente nel potere di una forma che non contempli dissoluzione bensì invenzione.

La fiaba che abbiamo in mente di proporre all'ascolto dei bambini sarà una fiaba da fabulare, ovvero un testo per musica che potrà accrescere (con lo slancio più ludico possibile) un'idea retorico-poetica-immaginativa.

Utilizzare gli artifici della retorica consente di stabilire nella scrittura parametri sostituivi alla sintassi tradizionale, significa riuscire a dare spessore all'elemento figurale del linguaggio che tanto si accosta al pensare fantastico e sintetico delle giovani menti.

Crediamo molto nel pensiero definito da Antonio Prete, in una della sua analisi su Leopardi, pensiero poetante (Feltrinelli, ultima ed. 2006). Un pensiero che ubbidisce ai consigli del doppio vedere espressi nello Zibaldone (30 novembre 1828): oltre il campanile, oltre la piazza siepi necessarie al dolce naufragare prendono consistenza nella coscienza altre immagini prodotte in eco emotivo dalle prime, immagini modellate su una vaga concretezza per avviare l'alimento della ricordanza. In questo doppio vedere l'ispirazione necessaria alla nostra fiaba, traslata in modo da stimolare nel bambino i meccanismi immaginativi del pensiero divergente, base strategica per ogni ritenzione mnemonica.

La nostra fiaba dovrà essere nuova e didattica insieme. Il testo, in rapporto alla musica, saprà compenetrarsi con essa in maniera da costituire al contempo germoglio ed innesto, frutto e seme.

Quale poesia si sceglierà come necessaria alla fabula? Prima di tutto una scrittura metrica in cui il bambino possa rintracciare facilmente la presenza di affetti posti bene in rilievo (un po' come fa il clown quando si trucca in modo da ingigantire le espressioni emotive del viso). Un testo che sia idoneo alla musica, deve essere compreso a fondo e sottolineato da evidenziatori cerca emozioni. Due colori o più. Sicuramente contrastanti perchè di contrasti vive il teatro e si nutre il linguaggio rappresentativo dei suoni.

Poesia soprattutto da intendere come un codice ricco di metafore e giochi lessicali che possono anche risolversi in un particolare cursus narrativo. Poesia scelta per offrire durante l'ascolto una morale musicale in grado di risolvere e risanare conflitti o contrasti. Nel caso di una fiaba che utilizzi al meglio il modello delle funzioni di Propp mettere il bambino nelle condizioni di decodificare il lessico con il quale la musica individua il protagonista, il malvagio, l'oggetto fatato la dinamica di una prova etc. Passaggi repentini o graduali di tonalità, invenzioni modali, ostinati, impiego figurale di scale o canoni, madrigalismi fantastici Il linguaggio della musica non finirà mai d'essere azione costituente e costitutrice di senso.

Sentiamo in fine, per concludere una riflessione ricca di complessi spunti dapprofondimento, di ribadire la nostra gratitudine per la lezione che Gianni Rodari ha lasciato al mondo dellinfanzia: un vedere e far vedere con occhi nuovi un mondo ancora (e per fortuna) da immaginare.

Alla fabula dunque l'altalena delle emozioni, ad un fabulare complice ed inventivo l'incanto e lo stupore dell'ascolto.





Toccatutto non toccare - Gianni Salvo

Altisonanti e canori burattini

Per assistere alla rappresentazione di un Intermezzo settecentesco come La serva padrona di G.B. Pergolesi, potrebbe essere accattivante immaginare di assumere la posizione fisica di un osservatore esterno: solo colui che riesce a vedere da lontano un evento può comprendere ed assaporare con animo ìlare il gioco relativo delle circostanze che lo compongono. Tale accorgimento potrebbe anche consentire di guardare lo spettacolo con un certo distacco, capovolgere un interiore binocolo così da rimpicciolire baracca e burattini.

L'accostamento fantastico che ci siamo permessi di annotare, non è certo casuale. La cultura del secolo XVIII non fu solamente basata sull'esaltazione della razionalità, di un'arcadica pulizia contenutistica e formale. L'Illuminismo comportò l'apertura epifanica delle menti umane. Queste furono in grado di valutare per esteso le proprie possibilità cogitative, non disdegnando d'assaporare con maestria ogni arguzia seria e sopratutto faceta imputabile pur sempre alla Ragione. Basti pensare ai romanzi filosofici di Voltaire, al viaggio incredibile di Micromegas vicino al Gulliver di Swift: mondi dove il "piccolo" mostra di possedere le stesse potenzialità del "grande", la medesima altisonante precarietà. E tra i meno noti, Pier Jacopo Martello con i burattini de Lo starnuto di Ercole (1717), conferma ancora quest'aspetto. I sottili fili che li animano raccontano di un poderoso gigante e di uomini minuscoli. I personaggi si muovono ignorando le loro proporzioni: i movimenti sono esagerati, le situazioni paradossali, i sentimenti provati invitano ad un sorridere sereno perché raccontano una quotidianità leggera e scanzonata.

I cantanti degli Intermezzi, visti dal nostro binocolo rovesciato, appartengono ad un mondo parallelo, brulicante di beffe perenni ed amori interessati e licenziosi, un palcoscenico di cartone sul quale ogni travestimento, battibecco o duello che dir si voglia, non fa altro che rendere l'agire teatrale piacevolmente concitato e concitante.

La meccanicità del movimento, essenza dell'anima di qualsiasi burattino, si addice perfettamente a tutti i personaggi degli Intermezzi.

Il gesto automatico, come insegna Bergson, è l'essenza del comico e nel teatro musicale buffo diventa il risultato della compiuta unione tra parola e musica. Tale sintesi produce un efficace effetto scenico, dovuto allo spontaneo avvicendarsi di arie e recitativi che rendono scorrevole l'azione incastonandola nel fluire musicale.

La scelta di molti versi de La serva padrona, scritti da Gennaro Antonio Federico, invitano i cantanti a gesticolare grazie alla ripetizione di alcune parole. Leggiamo come l'aria di Uberto apre ex abrupto l'intermezzo: «Aspettare e non venire, stare a letto e non dormire, ben servire e non gradire, son tre cose da morire, da morire». Il canto, suggerendo all'interprete delle ripetizioni, concorre a costruire naturalmente la comicità del personaggio.

Grazie ad espedienti come questo, l'Intermezzo riuscì subito ad alleggerire gli animi degli spettatori appesantiti dai lunghi ed astratti avvenimenti dell'Opera seria costruita su arie fin troppo sublimi. Figure come Serpina, Uberto e Vespone piacquero al pubblico per la giocondità semplice dell'intreccio scenico, per la qualità delle voci adatte ad esprimere emozioni elementari insieme alle quali sorbire tra i velluti del teatro dei Lumi un fresco sorbetto… e ridere di gusto.

Lina Maria Ugolini