Un sano e salùbre sorridere
Parlare di Carlo Goldoni in occasione della sua festa senza tempo induce, data la scelta di questo Filosofo di campagna (prima rappresentazione Venezia, Teatro San Samuele, 26 ottobre 1754), a stendere per suo merito alcune ragionate e illuminate riflessioni. Al genio del nostro veneziano si deve il sigillo della scrittura teatrale italiana, senza la quale non avremmo mai potuto conoscere in profonda e leggera trasparenza noi stessi.
Dobbiamo ancora ringraziare la sua arte perfetta per aver indicato nell'invenzione del «dramma giocoso» – fondamentale il sodalizio negli anni 1749-1755 con il musicista Baldassarre Galuppi nonché la direzione nel '37 del celebre teatro d'opera San Giovanni Crisostomo – quelle snelle soluzioni drammaturgiche di matrice comica ignote alle algide ed astratte strutture dell'Opera Seria. Soluzioni (ci riferiamo al legame stabilito tra la musica, l'azione dei personaggi ed il verso) presenti nell'innata teatralità della creazione goldoniana.
Non sembri dunque un anacronismo la lettura interiore dei caratteri scritta per l'occasione dal maestro Pietro Cavalieri. La vita emotiva di Lesbina, Don Tritemio, Rinaldo, Eugenia, Nardo, Capocchio, cuciti con ago accorto in questa nuova riduzione del testo (fu anche lo stesso Goldoni a contenere gli originali tre atti del dramma in un successivo intermezzo), si presenta già organizzata per consegnare alle arie musicali, lecite e coerenti esplosioni di rabbia, patetici affanni, cinguettanti idilli, garbate carezze.
Basta citare 'l'aria di furore' di Rinaldo, figura del giovane amante nobile, «Anima vile ingrata» oppure su tutt'altro stile operistico, l'incipit dell'azione affidato al duetto «Candidetto gelsomino» sulle note del quale si manifesta l'ingenuità candida (ma non troppo) della giovane Eugenia e la ragionevolezza della servetta Lesbina che nel medesimo candore intinge, con gesto scaltro e delicato, la goccia purpurea della propria malizia.
Che dire inoltre di certe verdure piantate con esilarante allegoria in questo specifico ambiente campagnolo dove i bollori canori del severo padre Don Tritemio, «radicchio invecchiato», rivolti a Lesbina, ambirebbero cogliere e gustare un po' di «cicorietta novella». Personaggio poi quanto mai moderno, di natural Ragione illuminato, quello di Nardo, del quale le rurali speculazioni che fanno il suo parlare schietto («qui dove non ci tiene il lusso, l'ambizion, la gola oppressi, sono gli uomini ognor sempre li stessi»), liberano nell'aria soleggiata (e musicale) dei campi benedetti dalla zappa, un sano e salùbre sorridere. In tale «moto mentale» – così Leonardo Da Vinci definiva l'atto visivo dell'umana letizia – tutto l'habitat di questo dramma serenissimo.
Lina Maria Ugolini