la scrittura come sedimento e costruzione
La terra di una vecchia zolfara attende d'essere venduta e distrutta per motivi economici imposti dal progresso industriale. Questo spazio scenico giova a ricordare sia il passato dolente della nostra terra, sia uno dei motivi fondamentali della poetica verghiana: il peso fatale del nascente capitalismo sulle relazioni umane, un onere motivato da una logica spietata nella quale i rapporti sociali tra le classi conducono all'esclusione degli umili e dei diversi.
L'occasione dell'azione teatrale è un giorno di festa particolare per la Sicilia: il 2 novembre, la festa dei morti. In questa ricorrenza passa l'eterna e vana tragedia del nulla umano cantata e cantabile da corpi ormai spenti attraverso il distacco lucido e consapevole di ciò che è caduco. In questo spazio ancora, i temi di tre profondi drammi umani: il dramma dei Vinti, il dramma del popolo siciliano, il dramma di un padre che ha perso il proprio figlio.
Tutta la scrittura delle pagine è racchiusa negli occhi vivi di Zi' Scarda: nel suo occhio cieco e ferito, la memoria dello zolfo spento. In quello che ancora vede, la lacrima di un presente fatto di consapevolezza e rassegnazione.
Zi' Scarda è il vecchio guardiano della zolfara. C'è ancora Ciàula che cammina accanto a lui nel silenzio senza luna della notte. Zi' Scarda è colui che nel tempo e nella solitudine ha imparato ad ascoltare le voci dei morti, di coloro che hanno perso la vita tra lo zolfo, quando lo zolfo, sottratto dalle viscere della terra, bruciava per gabella la vista, la parola e il fiato ai fanciulli e agli uomini nati esclusi.
Una drammaturgia per chi vive nella vita il mestiere della scrittura, si costruisce e nasce da ragioni ben più profonde di quelle che potrebbero essere delle abilità legate all'esercizio di una tecnica. Nomi non da poco quelli di Luigi Pirandello e Giovanni Verga. Il tempo ha sedimentato in me la loro coscienza ed è con tale bagaglio che ho costruito una storia che potesse permettere e giustificare una nuova e credibile vita scenica a personaggi universali. Occorreva quindi inserire accanto a questi altre creature non registrate nei dati dell'anagrafe delle lettere, volti delineati da una penna silenziosa e discreta.
Ombre gialle in riposo nella zolfara, anime morte eppure al momento coscienti di una trascorsa e crudele umanità: Lumiceddu, l'infocaturi del forno di fusione, Cola il picconiere, padrone dei picciriddi Peppino sciancateddu e Nanì. Sara, madre sepolta da Mazzarò, Nando, il galantuomo di Bronte. E accanto a questi Erminia (donna del giovanile romanzo di Verga Tigre reale), Mena, 'Ntoni, Mazzarò, Comare Santa, Malpelo, compresi al punto da parlare ancora con voce trapunta d'antica e nuova scrittura innestata come germoglio sui frondosi rami di piante magnanime e vetuste.
Attività dunque di sedimento questa festa dei morti e di costruzione poiché il teatro si fa e s'inventa giocando con materiali che gli appartengono da sempre.
Lo ha insegnato Bertold Brecht a noi scrittori, agli attori, alla regia.
Lina Maria Ugolini