Teatro

Jeli il pastore

Un teatro di forma ilare e fabulante

Parlare di un teatro che si scrive è affare complesso, prima di tutto perché il teatro è complesso. Il teatro rappresenta per l'uomo uno spazio di privilegio, un perimetro sacro dentro il quale raccontare nella finzione le verità più atroci e profonde dell'esistenza. La scena offre una possibilità di soluzione e di confronto, sa come diventare uno specchio o una lente attenta e accorta.

Il teatro è macchina, costruzione, geometria. Possiede una pratica che si esplica attraverso la parola del drammaturgo, nel fare e nel predisporre gli ingredienti necessari al gioco. Gioco linguistico e gestuale.

La scrittura drammatica è architettura, miscela di materiali, impasti, volute ed equilibri.

Per presentare la scrittura del mio teatro sceglierò tre parole: forma, ilarità e fabulazione. Nella forma risiede il desidero di ogni creazione letteraria. Essa realizza nella materia che forgia, l'identità articolata ed autonoma del linguaggio. Il teatro non può essere avulso dall'atto dell'invenzione. Una medesima storia può essere raccontata in mille modi diversi, smontata e ricostruita (Brecht ce lo ha insegnato magistralmente). Nella gestione di questo materiale eterno si concepisce il fare artistico.

La parola come le scene, e i costumi. Mi ritengo una privilegiata nell'aver incontrato agli inizi del mio percorso artistico il Piccolo Teatro di Catania e Gianni Salvo. Il Piccolo Teatro propone da più di cinquant'anni a Catania un esempio di produzione teatrale artigianale di grande mestiere. Ogni spettacolo s'inventa e si costruisce attraverso la regia, l'elaborazione delle scene, la scrittura della musica. Si prova con gli attori e se l'azione lo richiede, si modifica la pagina scrivendo a bordo di palco.



Don Dietropunto - Gianni Salvo e Alberto OrofinoLucistella racconta Peter Pan - Alessandra Lombardo

Alla forma, all'edificio della struttura, mi piace accostare poi il senso dell'ilarità e l'energia della fabulazione. I tre atti unici de Le azioni ìlari e fabulanti mostrano perfettamente quanto voglio asserire. Si manipolano tre linguaggi: il comico, un dialetto siciliano inventato, una poesia per musica ispirata al gioco degli Intermezzi settecenteschi.

L'ilarità contrassegna la presenza 'di un giulivo buonumore'. Un tempo Ugo di San Vittore definì il teatro come pratica portatrice di laetitia, Eden perduto di una fanciullezza rinnovabile. L'ilarità induce a considerare nella scrittura la presenza del sorriso, un sorriso che parla la lingua fine all'intelligenza.

Per far ridere, scriveva Bergson, bisogna con consapevolezza saper anestetizzare il cuore.

Testi di impianto comico e surreale sono: Le messe in piega, In un mare di vento, Da trapasso il contrabbasso e la commedia Dada di Varietà: Un prestigiatore molto mago. Il meccanismo del riso scatta nel primo caso da una scrittura ritmica, futuristicamente veloce ed incalzante. Nel secondo si costruisce sugli 'spostamenti nautici' dei due naufraghi Michele e Mario. Da trapasso il contrabbasso si diverte a fare il verso ad un tipo di teatro siciliano, per raccontare la morte con swing e fantasia.

Lucistella racconta Peter Pan - Egle Doria

Credo profondamente nel valore senza tempo della commedia – e qui ritorno ancora al punto centrale della mia scrittura – all'adozione della forma come possibilità plurilinguistica. Citare Dante è d'obbliogo: la materia da trattare deve imporre un linguaggio idoneo alle relative circostanze. Mozart grande uomo di teatro e maestro di vita, ne era ben consapevole.

La forma è un abito cucito su misura per chi lo deve indossare.

Un teatro fabulante ovvero un teatro d'immaginazione. Concordo con due pensieri di Italo Calvino. Il primo ricorda che la letteratura non conosce realtà ma la realtà di vari livelli. Il secondo ribadisce la forza di verità espressa nel mondo "fantastico" dell'Orlando Furioso. Mi chiedo. Quali storie, che tipi umani, può raccontare il teatro del secondo millennio? Un teatro che è passato da tutti i fermenti, le sperimentazioni e le avanguardie del Novecento? Due armi saranno sempre efficaci e nuove: l'ironia e soprattutto l'immaginazione, la capacità di vedere oltre il veduto, di capire oltre il capibile.

Mi rendo conto che oggi il nostro pubblico televisivo, abituato al sangue dei telegiornali e alle manifestazioni di lacrime epistolari e spettacolarizzate, ha smarrito questa facoltà di comprensione. Presentare una scrittura nuova disorienta sempre le aspettative di una platea viziata nel fare paragoni per trovare analogie e significati che abbiano un pacificante spessore intellettualistico.

Oggi si tende a vedere e a liquidare l'immaginazione in maniera semplicistica etichettandola come prassi negativa di leggerezza. E invece, la forza dell'immaginazione è così grande da superare se stessa. Lo sapevano bene gli antichi, e coloro che inventarono le fiabe. Ancora Calvino: le fiabe non servono ad allontanarsi dalla realtà, esse sono uno strumento per superare le angosce ed i pericoli della vita. Le fiabe servono alla crescita. Anche il teatro serve al medesimo scopo. Invece di parlare ai bambini si rivolge da sempre alle coscienze. Impresa assai ardua in una società che ne ha smarrito la percezione.

La poesia. La mia scrittura nasce dallo spazio e dalla sua poeticizzazione. L'arte teatrale è arte spaziale, l'attore-uomo è parte dello spazio, lo spazio crea i presupposti per l'esistenza e l'attendibilità di ogni personaggio. Lo spazio scenico, attraverso la poesia, dilata il proprio orizzonte perché la poesia è Verbo che schiude confini ed è fenomenologia di Spirito, respiro per l'anima (Bachelard).

Mi servo della poesia per ricordare la radice del teatro e con essa il fiori schiusi delle metafore. Cito tre testi: Due sedie, Cantu di pisolu, Oleandra porta due cuori.

In Due sedie la parola poetica costruisce ed accompagna la macchina scenica. L'oggetto sedia racconta quanto il verso, mostra una nascita, una ribellione, un amore. La porta di una casa (Cantu di pisolu) celebra un'attesa, si trasforma in altare per un matrimonio che mai sarà. Il canopo di Oleandra accompagna la danza dolente di una vita sfiorita e di una morte annunciata.

Queste alcune osservazioni sulle quali volevo riflettere. Non esauriscono certo la mia idea di teatro, ne chiariscono solo alcuni contorni. Tutto sulla scena può essere credibile, basta sentirne la necessità, il bisogno di dire. Dire per poter essere.

E la terra si fece teatro…

Il filosofo di campagna - Tiziana Bellassai, Fiorenzo Fiorito e Aldo ToscanoJeli il pastore - Anna Passanisi

Prima di essere teatro, il teatro fu terra. Un declivio dolce – per citare la storia delle costruzioni greche – posto in prossimità di un fondo alberato. Uno schermo naturale predisposto a trattenere tra i rami robusti e le foglie serrate i venti bizzarri delle stagioni. Le parole di coloro che avrebbero occupato l'agone dei conflitti e dei contrasti umani, sarebbero state in parte protette per liberare nell'aria complice il suono della voce. Così capirono di poter fare anche i contadini per le loro campagne. Gli alberi come custodi dei campi, testimoni del tempo della semina e della mietitura, coro di preghiera nei temporali, fremito amico per la solitudine delle calure estive.

Gli alberi del teatro però presto diventarono amici del vento. Stabilirono con la sua essenza fugace una complicità divertita. Un alito (qualora avesse voluto) sarebbe riuscito a giocare con i veli delle vesti di scena per inventare un fruscio discreto di malizie, avrebbe spinto una carezza in più tra le ciocche delle donne dee, liberato un abbraccio vano eppur vigoroso agli uomini re, toccato con un dito di nuvola la fronte di un indovino, baciato le palpebre lamentevoli di un cieco, asciugato a fil di soffio un nastro di sangue. Il vento sulle stoffe… O magari il pianto della pioggia sulla pasta dei trucchi sciolti sopra una pelle fatta di poesia… Imprevisti di uno spazio aperto… imprevisti non previsti eppure spettacolo dello spettacolo del mondo.

Tutto questo accadeva in un tempo lontano ma eterno. I greci posarono sulla terra un ventaglio di pietra e su quel ventaglio la gente prese posto per vedere ed ascoltare fatti di drammi segreti e comuni a tutti gli uomini, taciuti negli anni e liberati nella catarsi. Un ventaglio arato sull'erba in discesa e gli spettatori messi lì ad apprendere le ragioni balorde, ìlari e magiche della vita.

Un teatro nella terra come un corpo di terra e sassi. Le sue gambe estese in radici profonde sotto la cavea, il suo ventre tracciato nello spazio circolare dell'orchestra, il suo cuore fatto scena, le braccia generose aperte nei pàrodoi. La testa poi sul fondo, nell'invisibile luogo delle uscite degli attori pronti a diventare a ragione altro da sé, ad apparire d'un tratto dando le spalle agli alberi guardiani. Capelli anche le loro fronde dette chiome, protese verso il cielo per ricevere dal cielo il veto dell'equilibrio in forma di verde monito per l'esistenza terrena: magnifica e cadùca.

Poi il teatro diventò altro, si trasformò in edificio, inventò nell'architettura, il Tempio, la Città, la Locanda e altri luoghi mirabili. Imparò a costruire il proprio spazio dando allo spazio una coscienza duttile d'altre materie.

L'occasione della nascita di questo luogo per azioni terrestri e prossimo alla Canziria verghiana – un benedetto pendio scalinato che nel silenzio non dimentica di ricordare le orme tracciate dall'epopea dei vinti di Sicilia – ci induce a comporre una domanda della quale sentiamo pervenire la risposta al pari del canto degli uccelli. Perché la terra si fece teatro? Per la stessa ragione per cui l'argilla diventò uomo.

La drammaturgia
nel comporre parametrico

alcune brevi riflessioni di
Lina Maria Ugolini

Considero la scrittura drammaturgica come un problema da risolvere attraverso la scena, la scelta antica di trovare un tema d’indagine profondamente umano, idoneo a innescare le dinamiche di un conflitto interiore da esternare attraverso la parola in azione. Tale problema comporta l’applicazione pratica delle operazioni necessarie alla risoluzione di quest’ultimo, operazioni da organizzare attraverso l’esercizio del comporre ovvero programmare prima di tutto un ordine da proporre alla materia scenica e di conseguenza al linguaggio, alle idee, ai caratteri dei personaggi.

Già Aristotele aveva considerato la necessità di un controllo propedeutico allo sviluppo dei fatti della tragedia e commedia classica. Il manuale dell’Arte Poetica rappresenta, oltre ogni tempo, un lavoro fondamentale per comprendere a fondo la scrittura del teatro in quanto arte di un creare organizzato, questione quanto mai basilare nella drammaturgia contemporanea tutt’oggi sensibile a sollecitazioni che tendono ad utilizzare le schegge di una forma più volte disgregata dallo sperimentalismo del Novecento. Quel secolo è passato, esaurendo molte possibilità alternative d’espressione. Nella nostra epoca dunque occorre ripensare a un utilizzo dell’impianto formale senza perdere di vista la consapevolezza della manipolazione di una materia che può rappresentare solidamente il senso dell’uomo nel mondo, nel riso come nel pianto.

La pratica di un ordine parametrico risulterà nella selezione, tra più parametri, di quel parametro che possa configurare chiaramente la composizione del dramma.

Il significato geometrico del termine accoglie sia un principio regolatore sia un criterio di variabilità. Qualche breve esempio. In geometria il parametro che consente di definire un cerchio è il raggio: al variare di questo, varia la dimensione della circonferenza. Diverso è il caso di un cono poiché non parleremo più di un parametro ma di due: oltre alla lunghezza del raggio di base, occorrerà stabilirne un altro per l’altezza. Ribadiamo il concetto in rapporto alla scrittura. La preferenza di questo parametro [ed è ciò che più ci affascina] racchiude la possibilità caratterizzante d’ogni atto creativo: l’intervento arbitrario del soggetto sull’oggetto (opera) da definire. L’impiego di uno o più parametri spiegherà allora ciò che d’ora in poi chiameremo la figura geometrica del dramma.

Per dimostrare quanto detto consideriamo due problemi, uno serio, l’altro comico:

a) Titolo: Il lavaggio è automatico.
Problema: Una lavatrice programmata da un gestore in attesa di clienti.
Domanda: Cosa significa lavare un indumento che appartiene profondamente a noi stessi? Soluzione (da verificare). Dentro la lavatrice tutto gira e si contamina, nel ciclo di un lavaggio comune che per cause inevitabili si altera e ci trasforma. Esseri umani e indumenti. Per morire, per esistere e provare sempre a vivere.
Personaggi: gestore, una ragazza, un fratello e sua sorella, proprietario b&b.

Osserviamo

Figura geometrica del dramma

Parametro: lavatrice

Altri parametri: indumenti da lavare

Chiarire questo schema è semplice. Ciò che resta inalterato nell’impianto della pièce è il parametro del ciclo di lavaggio caricato dal gestore della lavanderia. Variabili sono invece i capi da lavare, pensati per rappresentare il dramma dai personaggi. La ragazza racconta di sé, del proprio amore tradito, attraverso il contatto con alcune sottovesti. Il fratello e sua sorella si confessano davanti al pigiama del padre morto. Il proprietario del b&b esprime la propria grettezza portando le lenzuola in cui è deceduto un cinese. Il criterio di composizione è ultimato dalle battute disposte secondo un preciso e ulteriore parametro: quello del ritmo introdotto nel ritorno ordinato e organizzato di frasi contrastive a quelle dei personaggi, recitate dal gestore che legge un giornale. L’effetto crea all’occorrenza la presenza di un impianto vocale polifonico che concorre ad articolare la conduzione temporale del dramma: un presente letto sul giornale, un passato prossimo o remoto evocato dai personaggi.

Il comporre parametrico di questa drammaturgia consente di lavorare su più variabili. Basterà pensare a nuovi capi da lavare per abbinarli ad altri ruoli e generare così ulteriori soluzioni da verificare attraverso la scena. Altra operazione consentita in virtù della mobilità dei parametri, potrebbe essere quella di considerare variabile il

parametro fisso della lavatrice e fisse le variabili, vale a dire mantenere uguali vestiti inserendoli in cicli differenti di lavaggi che si mostreranno scenicamente efficaci quanto maggiore la presenza di contrasto: essere-corpo/ apparire-vestito, realtà/sogno, immagine/coscienza, maschera/identità etc.

Passiamo al comico.

b) Titolo: In un mare di vento.
Problema. Tre isole in mezzo a un mare senza vento e pieno di squali. Su ciascuna tre naufraghi: due uomini nelle isole vicine e una donna in quella lontana. Tra le isole solo la barca di Gianni Vento.
Domanda: Riusciranno i due naufraghi a raggiungere l’isola dei loro sogni?
Soluzione: Sarà l’abile Gianni Vento a gabbare i due amici.
Personaggi. Gianni Vento, tipo girevole: fa bandiere. Mario, tipo poetico: fa il naufrago. Michele,
tipo filosofico: fa l’altro naufrago. Una donna: fa la donna

Figura geometrica del dramma

Parametro di costruzione: spostamenti “cartesiani” di Gianni Vento.

La dialettica comica, l’ingranaggio compositivo delle pièce, è affidata ai seguenti movimenti di Gianni Vento impegnato a traghettare Mario e Michele nonché a piantare le proprie bandiere sulle isole:

1) Barca G.V. → isola di Michele.
2) Barca G.V. → isola di Mario.
3) Barca G.V. → isola di Michele.
4) Barca G.V. → isola di Mario per portare Michele.
5) Barca G.V. → isola di Mario per prendere Michele.
6) Barca G.V. → isola di Michele con Michele.
7) Barca G.V. → isola di Mario.
8) Sparizione della barca di G.V.
9) Barca G.V. → conquista l’isola della donna.

Al ritmo suggerito dagli spostamenti della barca, la composizione offre le robbe indispensabili all’azione e al gioco linguistico dei tempi comici: due valige, un cannocchiale, un albero di cocco, un albero di banane, un ventilatore, bandiere, un piccione ex machina…

In virtù del comporre parametrico, anche tale modello di base può essere utilizzato per produrre delle variabili. Una drammaturgia comica richiede maggiore esattezza e precisione rispetto a un testo serio. Senza sconvolgere l’efficacia di tale meccanismo, la soluzione alternativa più immediata potrebbe riguardare la scelta della parti. Sostituire ad esempio i tre tipi maschili con tre donne in modo che l’ambito boccone da conquistare diverrà un aitante maschio. L’alchimia comica del desiderio e delle allusioni sessuali ha sicuramente proprietà biunivoche. L’azione dunque potrà procedere con efficacia nel medesimo spazio. L’importante, lo ribadiamo, resta il parametro del percorso marino, produttore di ritmo e gags.

Considerazioni tratteggiate a margine e dalle quali ripartire…

Il teatro da sempre è specchio, espressione e produzione della società. La difficoltà più grande per un drammaturgo contemporaneo consiste nel saper comprendere i meccanismi più idonei a mostrare una realtà avviata a inseguire nel virtuale continue conferme di senso e identità labili a trattenersi. Più che di parametri allora servirebbe individuare un modello d’offerta drammaturgica funzionale a comprendere le logiche e i bisogni di domande generate da una società satura e complessa. Il modello è un insieme formato da parametri e variabili (nonché modelli più semplici). Trovare un modo per organizzarlo [mi riprometto di studiare e tornare ancora sulla questione] potrebbe concorrere a capire meglio il senso e il ruolo dell’essere umano nel XXI secolo. Finché però noi autori saremo in grado di produrre forme congegneremo contenitori e contenuti da offrire a un’arte tangibile alla dimensione dell’uomo, figura viva di uno spazio concreto.

Lina Maria Ugolini